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Donne e sport, duemila anni di discriminazioni

Anche Vivere Impresa No Profit ha partecipato al convegno “Dal mito di Atalanta ad oggi”, organizzato dalla Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari (FIDAPA), svoltosi al CONI il 17 ottobre per sostenere le atlete italiane vittime di disparità

 

Forti discriminazioni di accesso allo sport professionistico, che impediscono alle atlete italiane di essere “professioniste” pur in presenza di ori mondiali. È stato questo il tema affrontato nel corso del convegno “Dal mito di Atalanta ad oggi: duemila anni di discriminazioni nello sport”, svoltosi il 17 ottobre presso il Centro di Preparazione Olimpica del CONI a Roma.

L’incontro, patrocinato dal CONI e dal Comune di Roma, è stato organizzato dalla sezione Roma Campidoglio della Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari (FIDAPA), presieduta a livello nazionale da Caterina Mazzella. Al convegno ha partecipato anche Vivere Impresa No Profit, attraverso alcune delegate del direttivo intervenute in rappresentanza di sponsor.

Il convegno è stato caratterizzato dal contributo di studiosi e dalle testimonianze di atlete e dirigenti, anche del mondo paralimpico, sul tema della discriminazione - ai suoi aspetti sportivi, etici ed economici - nei confronti delle atlete italiane che sono ancora “dilettanti”, prive di diritti e discriminate negli ingaggi.

Il mito di Atalanta è forse uno di quelli più legati allo sport, e non solo per la presenza in serie A di una squadra di calcio con quel nome. Atalanta rappresenta il mito di una donna imbattibile nella caccia e nella corsa, ma destinata a perdere le sue virtù “maschili” ove si fosse sposata. Ripudiata da suo padre che voleva un maschio, condusse vita mascolina e casta, sconfiggendo centauri e mitologici cinghiali. Tentò, unica donna, di entrare a far parte degli Argonauti, ma secondo alcune letture venne rifiutata proprio per il suo essere donna. Alla fine, accettò di sposare Melanione che, con l’aiuto di Afrodite e con qualche trucco - l’abbandono lungo il percorso di tre mele d’oro, a riprova del fatto che l’oro funziona sempre – la sconfisse in una gara di corsa. Millenni sono passati da allora, ma certe discriminazioni hanno radici profonde e sono dure a morire.

L’evento segue un’importante presa di posizione della Presidenza del Consiglio, che con il recente Decreto dell’Ufficio per lo Sport del 14 settembre 2018 ha recepito una recente delibera del CONI, ricodificando i “Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate”, introducendo un obbligo di rappresentanza delle atlete nei vari Consigli federali. Non si tratta di “quote rosa” nelle Federazioni, ma di un più generico (e forse proprio per questo più efficace nel lungo periodo) obbligo di prevedere “forme di equa rappresentanza di atlete e di atleti”. Il Decreto, inoltre, prevede la tutela delle posizioni, del tesseramento e del merito sportivo delle atlete professioniste, a tempo pieno o parziale, e dilettanti delle atlete in maternità.

“In questo particolare momento in cui tantissime donne sono vittime di soprusi e violenze tra le mura domestiche e sul luogo di lavoro – ha affermato Barbara Sarrecchia, presidente di Vivere Impresa –, abbiamo deciso di sostenere tutte quelle iniziative finalizzate alla loro valorizzazione anche in ambito professionale. Per dare un segnale forte in questo senso, abbiamo eletto un Consiglio direttivo tutto al femminile. La nostra associazione ha tra i suoi obiettivi anche quello di aiutare le donne in difficoltà nel loro percorso di uscita da crisi che possono essere di tipo personale, familiare o professionale e che hanno spesso un forte impatto emotivo e psicologico. Da questo punto di vista, un progetto importante che abbiamo messo in campo da alcuni anni è “Ricomincio da me”, dedicato proprio a quelle donne che vogliono rimettersi in gioco dopo un periodo di crisi. A breve metteremo in campo la terza edizione dell'iniziativa”.

17 ottobre 2018

 

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